texts/books

 Annual autori di immagini

Spazio DUMBO / Bologna

www.autoridimmagini.it

Sotterraneo


catalogo d'arte

Trani / luglio 2016


Editore: youcanprint


http://www.lafeltrinelli.it/libri/francesco-porcelli/sotterraneo-catalogo-mostra-trani-luglio/9788892611894

Angelini

di Francesco Porcelli


http://www.lafeltrinelli.it/libri/porcelli-francesco/angelini/9788892610620

"Il mio" Inferno di Dante

di Domenico Valente


Illustrazioni di Francesco Porcelli


http://www.societaeditricedantealighieri.it/libreria/index.php?main_page=product_info&cPath=87&products_id=1696

Lettera zero 2

a cura di Vito Santoro


Ritratto di Mario Soldati

di Francesco Porcelli


http://www.edizioniarcoiris.it/index.php?id_product=229&controller=product

Sono concepiti su fogli di carta da pacco, di cui spontaneamente conservano quel colore giallognolo colmo di richiami visivi e olfattivi, le ultime opere di Francesco Porcelli proposte in questa mostra tranese, città sospesa in un complesso gioco di sovrapposizioni di memorie e relazioni, con altri individui e con la storia.


Sono anonime le figure che ci presenta in questo suo privato album di impressioni marinare, dove il paesaggio – genere a cui lui è sempre stato legato – si dissolve, almeno in apparenza, per lasciare posto ai movimenti e alle peregrinazioni intrinseche di personaggi originari di chissà quale luogo della geografia emozionale privata.


Segni turbinosi tracciati con l’inchiostro nero riorganizzano anatomie che altrove, magari nei fogli precedenti, sembravano dissolte; i volti sbirciano il vuoto, i vortici d’acqua segnalano un confine tra il mondo materiale e una realtà che ci apparteneva e che è stata magari obliata da chi ci era vicino. Per Francesco probabilmente queste opere hanno anche una funzione di ricerca sulle forme, sulle proporzioni dei corpi, oltre che di studio chiaroscurale e di gestualità, come nel gruppo di quattro figure ritratte in contemporanea con segni floridi e istintivi. Ma è il legame con la storia dell’arte – quella delineata dai partigiani dell’immagine – che gli appartiene come riferimento sostanziale e primario. E lo si evince anche dalle opere plastiche con cui si è cimentato, dove quel carattere del non finito stimola ulteriori rimandi, che partono da Medardo Rosso per giungere chissà dove in un processo sincronico e diacronico, in un continuo pellegrinaggio tra ciò che è iconico e ciò che non lo è, per poi ritornare sempre, fedeli, dalla parte dell’immagine.


Lorenzo Madaro

Francesco Porcelli ha destinato parte della sua più attuale ricerca espressiva allo studio della periferia urbana. La sua azione, partendo da un’analisi che affonda le proprie radici nell’architettura industriale, preferisce, come metodo d’indagine, equiparare alla ricerca visivo-pittorica l’esplorazione della condizione umana. Con l’espressione “archeologia industriale”, utilizzata per la prima volta da Michael Rix in occasione della pubblicazione di un suo articolo sulla rivista inglese The Amateur Historian a metà anni cinquanta, si intende un procedimento interdisciplinare che analizza le relazioni intercorrenti tra struttura, produzione e forza lavoro al fine di indagare le reali congruenze storiche verificatesi, prendendo in esame il periodo che si sviluppa successivamente alla seconda metà del settecento. A cavallo tra gli anni sessanta e settanta l’archeologia industriale ha prodotto tanta letteratura e una varietà molteplice di opere visive, per lo più fotografiche, oramai desuete, che dagli anni ottanta in poi hanno invaso l’immaginario collettivo creando un distorto effetto percettivo del contesto, rendendo difficile e in alcuni casi vano il tentativo di classificare tutti gli elementi indispensabili alla ricognizione storica, affidandoci di fatto opere per lo più calligrafiche e poco adatte allo scopo prefissato.


Con lo sviluppo e con l’estensione dei centri abitati le fabbriche sono inglobate nel tessuto urbano; le aree industriali si avvicinano a quelle abitate e le periferie diventano più popolose, accessibili e meglio collegate. Gli spazi industriali sorgono in maniera disomogenea e disordinata vicino a monumenti federiciani, a cattedrali medioevali, a ridosso di aree costiere, creando uno squilibrio particolare, molto caotico e poco armonioso, da cui si evince una urbanizzazione selvaggia, per nulla interessata alla salvaguardia dell’operato umano e poco incline al rispetto della natura. Tutto questo è presente nei lavori di Francesco Porcelli: sono opere che si distinguono per la precisa intenzione di documentare il proprio territorio, lavori che analizzano la coesistenza tra elementi architettonici risalenti a epoche diverse e  costruiti con finalità differenti. La disomogeneità rilevata, pur essendo disordinata e caotica, risulta essere attraente perché comunque in essa è visibile la storia dell’uomo, il suo percorso nel tempo, la traccia che ne attesta il passaggio. I ruderi industriali, alla pari degli edifici più rappresentativi, diventano parti imprescindibili del paesaggio e la loro riqualificazione porta alla luce elementi preziosi per accrescere interesse nei confronti del passato. Questa naturale inclinazione alla rilevazione archeologico-periferica nasconde una ricerca più minuziosa, una ricerca più intima che recupera parte delle esperienze realistico-esitenziali degli anni sessanta e si avvicina a quelle post-metafiche con cui, contraddistinta da forti accenni iperrealistici, si è scritta parte della Storia dell’Arte Contemporanea italiana degli anni settanta. Infatti, l’artista tranese, attento conoscitore delle poetiche di Alberto Sughi e Gianfranco Ferroni, elabora, facendole confluire nel suo procedimento costruttivo, una situazione visiva personalissima in cui esclude intenzionalmente dalla scena la figura umana; la sua assenza è così marcata che diventa quasi tangibile e realmente presente. Il palcoscenico, su cui tutto è immobile, diventa la reale rappresentazione del tempo ed è la mano dell’uomo, il suo costante lavoro, a farlo recepire in quanto tale. La chiara lucidità con cui i lavori sono eseguiti è frutto di un equilibrio raggiunto, tra il livello estetico-formale e quello concettuale, che non confonde l’osservatore. Velatamente, l’idea della possibilità di riappropriarsi di luoghi abbandonati all’incuria riapre nuove prospettive, concedendo la possibilità di realizzare punti di aggregazione cittadina e popolare, nuovi contenitori in cui poter dialogare e confrontarsi. La riqualificazione degli spazi industriali e naturali parte da un’attenta analisi del territorio circostante, da quelle caratteristiche che rendono omogeneo il territorio e lo restituiscono alla popolazione in una nuova veste; questo è il pensiero che stimola l’artista a realizzare un ciclo in cui hanno eguale dignità lavori a olio, carte trattate a matita e a tempera e incisioni. L’analisi più interessante, quella che dà spazio a più interpretazioni, si sviluppa quando albeggia o all’imbrunire, quando le strutture sono in penombra e creano uno skyline omogeneo e compatto; si possono immaginare nuove soluzioni e nuove strade da percorrere, nuovi orizzonti, convinti che gli errori spesso si tramutano in ulteriori possibilità che il tempo concede; possibilità straordinarie, straordinarie come l’uomo, come il suo cammino sulla terra.


Piero Boccuzzi

Nulla dies sine linea*


di Nicola Sivestri


Il disegno è la più diretta e immediata forma di espressione, la più vicina al ”concetto“.

Esso presiede anche alla genesi e segue costantemente l’evoluzione delle varie forme di scrittura.

Sarà per questo che la grafica di Francesco Porcelli assomiglia incredibilmente ad una pagina di prosa.

Le dieci opere presenti rivelano uno sguardo impassibile sulla realtà, irresistibilmente attratto dalle linee

di confine tra terra e mare, tra terra e cielo, in un’atmosfera sospesa, arida e desertica che sembra

promettere la rivelazione del noumeno, la realtà in sé, disadorna ma essenziale.

Nasce da questa attesa fervida la pietà per ciò che si scorge: vaste e serpentine fasce di detriti, residui

di una presenza umana ormai svanita col suo carico di disillusione, un paesaggio maculato di rovine

industriali che infetta le profonde ferite inferte alla Madre Terra.

Laggiù il cubo di una rimessa assediato da una luce cruda dentro il quale palpita un’ombra scura

e fresca; più oltre un sito scabro punteggiato di incongrui arbusti fossili, appare simile ai paesaggi

delle carte lunari, al centro del quale si leva lo stelo di un palo solitario.

L’uomo è assente, parlano di lui i fitti segnali della sua presenza: la minacciosa e sgangherata selva

di antenne puntata verso il cielo che sembra alludere alla ricerca di un’altra possibilità dell’essere,

non più nella Natura. Si distinguono appena gli aulici relitti architettonici posti programmaticamente

sullo sfondo a significare l’improbabilità di un ritorno; dialogano con loro, in primo piano, massi erratici

composti in suggestivi gruppi, cosparsi di ciarpame da discarica, cespugli e arbusti stentati,

pietrisco frantumato e rimescolato dagli elementi, prosciugato.

Porcelli evita, però, la retorica pop di tanta contemporaneità , non si abbandona all’estetica variopinta

e ammiccante dell’arte del riciclo ma affoga tutto nel severo monocromatismo dell’acquaforte, del

carboncino, della grafite.

E’ un narratore che non si compiace mai né intende compiacere, preferisce registrare meticolosamente,

sembra tenere un diario, a cui giorno per giorno aggiunge una linea: nulla dies sine linea, un esercizio

quotidiano che oltre a rivelare l’aspirazione alla verità dichiara il progetto dell’artista tutto compreso

nella tensione al progresso, verso la maturità formale.

Se per introdurre la peculiarità della produzione grafica del nostro ho utilizzato la categoria della prosa,

mi sarà concesso recuperare quella di poesia per commentare la serie di nove dipinti presentati

contestualmente.Come sempre è avvenuto nella tradizione dell’arte occidentale, il disegno, al servizio di

tecniche artistiche più sofisticate come il mosaico o la pittura, è destinato ad andare perduto, ad

assolvere in realtà quella funzione di ossatura della figurazione, di supporto plastico del colore, di

struttura della composizione.

L’opera pittorica che Porcelli presenta in questa personale sembra voler documentare una transizione:

dalla lucida acribia del segno grafico limpido e netto al tocco espressionista che lo contamina

all’apparire del colore, prima entro i contorni ancora visibili del disegno poi unico strumento espressivo,

finalmente libero di reclamare per sé il ruolo primario di sostanza, perché in questi dipinti il colore non

colora ma costruisce la forma, riflette la luce non lasciandosene intridere. La severa scelta dello schema

cromatico freddo enfatizza il risultato smaltato e compatto di alcune composizioni che fanno pensare alla

pittura di macchia ma il processo una volta avviato non si arresta e presto i volumi si sfocano, dissolvendosi,

dilavandosi fino ad assumere un aspetto fantasmatico: solenne/elusivo, lirico/allusivo; poetico.

I temi affrontati nei dipinti sono ad un dipresso gli stessi della grafica, a tratti i medesimi che si ritrovano a

dialogare tra loro, contendendosi un primato che forse semplicemente non esiste o l’artista non è per

nulla interessato ad assegnare.

E’ programmatica la preferenza accordata ai pomeriggi di luce abbacinante, spazi deserti contengono

mare, cielo, lembi di terra sui quali si riversa una solida massa luminosa che invece di rivelare sembra

impedire, con la compattezza della radiazione, ogni possibile comprensione.

E’ quella luce farneticante che il Sud ben conosce che scolorisce i fiori e ingiallisce il verde, un furore

energetico che ha come ineluttabile esito la morte.

Le rovine post-industriali vengono qui inquadrate con decisione, campeggiano al centro delle

composizioni, alcune sembrano atteggiarsi come edifici sacri distendendo orgogliosamente le ampie

navate che per un lungo periodo hanno accolto le quotidiane liturgie in onore della produzione,

del progresso, oggi deserte.

Emerge infine la fisionomia di un autore padrone di tecniche ma intenzionato a non vincolarsi

a nessuna; il ritratto di un artista giovane, austero e riflessivo che conduce una promettente ricerca

formale e che si interessa del mondo cercando di conoscerlo e forse di amarlo.


*La locuzione latina ”Nulla dies sine linea“, tradotta letteralmente significa: ”nessun giorno senza una

linea“ (Plinio il vecchio, Storia Naturale, 35). La frase è riferita al celebre pittore Apelle, che non lasciava

passar giorno senza tratteggiare col pennello qualche linea. Nel significato comune vuole inculcare la

ne-cessità dell’esercizio quotidiano per raggiungere la perfezione e per progredire nel bene.


Memoria e immaginazione nelle opere di Francesco Porcelli


di Enrica Cavallo


Francesco Porcelli: conosco il giovane pittore e grafico tranese da alcuni anni e mi hanno sempre colpito

favorevolmente la sua pacatezza, serietà, gentilezza d'animo, discrezione, il silenzio meditativo,

la consapevolezza con cui si accosta alle opere degli artisti esposte nella galleria che dirigo.

Recentemente, in occasione della personale organizzata da ”Le Muse Giovani“, ho avuto la possibilità di

visionare un corpus significativo di opere pittoriche e grafiche. Ad un primo sguardo le sue marine,

le strutture fatiscenti di un vecchio capannone industriale abbandonato (una distilleria in cui suo padre

ha lavorato), costruite come viaggio emozionante della memoria, le incisioni, i disegni, evidenziano quanto

la vicenda artistica di questo pittore sia indirizzata ad una visione che esige da parte del fruitore di

concentrare l'attenzione non su quel che vede, ma su ciò che non vede, condizione lontana da una

dimensione storica sconfortante, la nostra, ricca d'immagini, di parvenze, di icone, che incombono,

ma scivolano sullo sguardo, espressione di una fragilità complessiva che svela la precarietà dell'essere

e dell'esistere. L'arte, per sua natura, è portatrice di una sostanziale ambiguità: deve essere rappresentativa

e ad un tempo per nulla rappresentativa di qualcosa che rinvia alla consueta esperienza reale, deve

saper tradurre nella resa dell'immagine, l'urgenza della sua dinamica interiore, ostile ad ogni

compromesso tra aspetto ed essenza. Il compito dell'artista, come affermava il critico e storico dell'arte

M. Fagiolo dell'Arco, scomparso un decennio fa, è trasformare il mondo vero in immagine e l'immagine in

mondo vero, con l'antico trucco di chi sa che la radice di arte è ”artificio“ e che la sua finalità è dipingere

le cose per disseccarle e spremerne l'anima. Francesco Porcelli, pur nella sua ancor breve esperienza

pittorica, se consideriamo i punti chiave della sua pittura, spazio, luce, bellezza, memoria, segno, è deciso

a stabilire un colloquio profondo con la realtà che più intimamente lo tocca per far emergere quella verità

nascosta delle cose, quella bellezza che non è un parametro estetico, ma operazione di linguaggio.

                       

Periferie autobiografiche.


di Giuseppe Modica


Abituati come siamo, ormai da tempo, ad imbatterci in una miriade ossessiva ed interminabile di

immagini scontate, fragorose e prevedibilmente spettacolari con ammiccamenti agli effetti speciali

e all'impatto scenico della comunicazione e che presumono di avere esclusiva legittimità nell'ambito

dell'Arte, non è facile, invece incontrarsi con lavori propriamente artistici: disegni, incisioni e dipinti così

profondamente legati ad una dimensione contemplativa, di riflessione e di silenzio .

Di tale specifica qualità, a prima impressione, mi sembrano le opere di Francesco Porcelli.

Certo che le mie sono impressioni su dati iconici trasmessi da un video, e che le opere (disegni, incisioni,

dipinti) vanno viste dal vero nella loro alchimia tecnica e nel corpo della loro materia.

Mi pare che le sue ”Periferie“ siano una sorta di periferie dell'anima che siano opere intimamente

legate ad una dimensione interiore ed autobiografica. Sempre, fidandomi della prima impressione,

nessun atteggiamento intellettualistico e ideologico, nessuna provocazione, oggi così di moda,

ma una pungente e sofferta solitudine, uno sguardo limpido e sincero senza ammiccamenti e

compiacimenti che con assorta contemplazione ci restituisce in accorati disegni, incisioni e dipinti

meditati brandelli, stralci e ”residui minimi“ di melanconiche e struggenti periferie.

C'è già in Francesco una chiarezza concettuale nell'avere individuato una precisa e stabile area di

indagine sulla quale incentrare il suo percorso di artista pittore incisore, e consentitemi alla sua età non è poco.


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